Bruno Nettl

Il rapporto del presente con il passato: riflessioni sullo studio del cambiamento musicale e culturale nell'etnomusicologia*


Il rapporto del passato con il presente è uno dei problemi principali in tutte le culture umane. Studiare questo rapporto è inoltre un compito della più grande importanza in molte aree scientifiche e, in modi diversi, nella musicologia e nell'antropologia.

In etnomusicologia e in antropologia, uno dei modi principali di associare il passato con il presente è basato sul concetto di cambiamento culturale e cambiamento musicale, sull'idea che qualcosa che una società mantiene e condivide può cambiare nelle sue caratteristiche o nei dettagli, eppure rimanere essenzialmente uguale. Vorrei trattare il rapporto fra passato e presente in questa chiave. E' un problema immenso, e voi capirete che ho faticato a trovare il modo di abbracciarlo nel suo complesso. Trattare questo problema in modo appropriato potrebbe richiedere una definizione di cultura, di musica e infine di cambiamento, per non parlare del compito di fornire una bibliografia. Ma piuttosto, indirizzandomi verso una meta più modesta, vorrei tentare di circoscrivere la materia citando e discutendo alcune delle questioni più rilevanti in questa area di studio, presentando ognuna di esse nei termini di generalizzazioni ampiamente accettate e illustrandole con esempi che provengono dalla mia esperienza.

L'interesse ultimo della musicologia è sempre stato la natura del cambiamento musicale. La maggior parte dei musicologi, che vedono se stessi soprattutto come storici della musica, ha cercato di dimostrare che la musica procede dal passato al presente in modo sistematico, utilizzando ad esempio il concetto di periodo, il significato della biografia, la convinzione che la somiglianza o l'identità debbano essere generalmente spiegati attraverso il contatto e l'influenza. Seguendo gli approcci dell'antropologia, anche gli etnomusicologi hanno talora guardato la musica nello stesso modo, ma più spesso si sono interessati all'analisi della situazione odierna e a ciò che il presente ci può dire sul proprio passato, mentre si sono dedicati all'osservazione del cambiamento - quando esso si presentava - in modo meno sistematico. Voglio iniziare subito con il primo dei miei casi.

1. C'è una molteplicità di rapporti fra passato e presente

Permettetemi di cominciare con alcune osservazioni sulle classificazioni del concetto di cambiamento. Generalizzando, si può affermare che gli etnomusicologi hanno studiato il cambiamento in tre modi relativamente distinti. Il primo modo, che è dominante nella nostra letteratura, si basa sulla esposizione di eventi registrati da osservatori, nel tradizionale senso storico ed etnografico. Secondariamente, noi ci interessiamo ai modi in cui il cambiamento, la storia, il rapporto fra passato e presente sono percepiti e classificati dalle diverse società - talora in modi che non si conformano alle osservazioni citate sopra. In terzo luogo - e questo problema è collegato al precedente - noi studiamo le interpretazioni che le società danno delle loro percezioni, i modi in cui esse modellano il loro passato per andare incontro alle necessità del presente. Queste aree di studio si sovrappongono, ma può essere utile talora separarle artificialmente a fini di analisi.

Ma che cosa intendiamo con il concetto di "cambiamento musicale"? Permettetemi di cominciare elencando semplicemente alcuni esempi non connessi fra loro di fatti verificatisi in un passato più o meno recente. Nel sec. XIX, alcune tribù amerindiane si sentirono spinte ad abbandonare completamente le loro tradizioni per assumere quelle della musica occidentale locale. Nel sec. XX, la maggior parte dei compositori europei di musica d'arte abbandonarono l'armonia funzionale e adottarono il sistema seriale, ma mantennero forme e generi tradizionali come la sinfonia e il quartetto d'archi. Già nel sec. XVIII, gli schiavi africani crearono a Giamaica una nuova musica che sfruttava elementi della loro eredità africana così come degli inni protestanti che avevano appreso nel Nuovo Mondo. Dopo il 1920, i musicisti iraniani che coltivavano il repertorio classico aggiunsero l'armonia occidentale alle loro melodie. Nel tardo Medioevo, gli abitanti dei villaggi tedeschi cantarono una ballata per un secolo e ne crearono 75 varianti. Oggi, un musicista indiano suona lo stesso raga in concerto anno dopo anno, ma non lo esegue mai nello stesso modo. Quando Mozart eseguì per la prima volta il suo Concerto in re minore, esso aveva le stesse note che ha 200 anni più tardi, ma oggi esso suona del tutto diverso - ed è diverso anche in ognuna delle registrazioni che ne sono state realizzate nel sec. XX. Sono certo che avete capito che cosa voglio dire. Noi possiamo raggruppare questi esempi in qualche modo lungo le linee di un continuum: sostituzione da parte di una società di un intero sistema musicale; cambiamento radicale di una musica; e cambiamenti entro un sistema, permessi e forse perfino richiesti dalla sua prosecuzione.

E inoltre possiamo distinguere il cambiamento nel sistema centrale dal cambiamento periferico - il violino diventa il principale strumento di accompagnamento nell'India del sud, ma il sassofono viene suonato solo da due musicisti. Può succedere che lo stile musicale continui mentre cambiano il contesto sociale e il sistema di idee sulla musica. Ancora in India, il repertorio classico dei canti devozionali eseguiti nei templi è stato adottato in questo secolo nell'ambiente urbano dei concerti della media borghesia. Il significato della musica può cambiare mentre la struttura rimane. Il ruolo simbolico dei canti popolari è molto cambiato nella società americana fra il 1900 e il 1990.

Ci sono stati tentativi di classificare i tipi e, più in dettaglio, i gradi di cambiamento e i processi, che vanno dall'abbandono completo a cambiamenti cosmetici come l'aggiunta di una corda qua e là. C'è una quantità di termini per parlare di questi fenomeni - occidentalizzazione, modernizzazione, sincretismo, modificazione transculturale -, alcuni dei quali non menzionerò neppure. Classificazioni del cambiamento sono state proposte nelle opere di John Blacking, Margaret Kartomi, Amnon Shiloah, Erik Cohen e di Bruno Nettl. Nella maggior parte dei casi, ciò che mi colpisce non è tanto il cambiamento, ma sono le tecniche che le società hanno inventato per impedire, scoraggiare e controllare il cambiamento e per mantenere la tradizione musicale, permettendo ad essa di continuare mentre altre cose nella vita sono costrette a cambiare. Nella musica, forse più che in altri campi della cultura, gli uomini desiderano legare il loro presente al passato. Così, ci sono cambiamenti nell'insieme della cultura musicale che vengono realizzati al fine di mantenere intatti alcuni aspetti della tradizione - per esempio, la secolarizzazione del repertorio sacro tribale; o la riduzione di un repertorio per renderne possibile la conservazione quando sono disponibili per il suo mantenimento minori energie musicali; l'introduzione dell'armonia funzionale; o la sostituzione dell'improvvisazione con l'enfasi sulla precomposizione. La prima cosa da cui siamo colpiti studiando il rapporto fra passato e presente è l'enorme varietà di fenomeni che debbono essere presi in considerazione. Invero, un gran numero di processi hanno luogo e convergono nella storia di un genere o stile o perfino di uno strumento. Così, vengo alla mia prima escursione, in Australia.

Escursione: il didjeridu

Nella storia del didjeridu degli aborigeni australiani interagiscono e vengono in conflitto parecchi modi di mettere in rapporto passato e presente. Lo strumento è una lunga tromba, generalmente fatta di eucalyptus. Osservando la sua storia antica dal punto di vista degli antropologi del Kulturkreis attorno agli anni '20, esso appare simile alle trombe lunghe di altre società - le trombe tibetane, l'Alphorn, il molimo dei pigmei Mambuti, e questa distribuzione geografica in luoghi non contigui, insieme al suo ruolo nelle espressioni rituali, suggerisce che esso sia antico, lo associa con un particolare gruppo di oggetti culturali che sono connessi ad uno stile e ad uno stadio della cultura in un'ampia parte del mondo. In Australia, comunque, la sua diffusione era limitata una volta alle popolazioni aborigene del nord. Dopo l'insediamento dei bianchi nel continente, esso ha cominciato ad avere una diffusione più ampia ed è diventato una sorta di simbolo musicale degli aborigeni australiani.

I vorrei suggerire tre ragioni per questo fenomeno: il maggiore contatto fra le popolazioni australiane; la necessità di piccole e diverse società aborigene, tutte sotto la pressione del dominio dei bianchi, di trovare oggetti e idee che essi potessero condividere in una sorta di cultura pan-australiana, attraverso la reinterpretazione e il concetto di nativo; e infine il desiderio di trovare un modo di assimilare il ruolo emblematico degli strumenti nella cultura occidentale, dove la musica è vista come un'arte essenzialmente strumentale. Così, i cambiamenti nella cultura australiana non portarono tanto ad un nuovo suono musicale, ma a nuovi concetti e ad una diversa distribuzione dello strumento. Più tardi comunque il didjeridu fu coinvolto nella produzione di nuovi suoni, dopo essere diventato una sorta di simbolo della cultura aborigena australiana per gli australiani bianchi e dopo essere stato introdotto come strumento nella musica rock associata agli aborigeni o prodotta da musicisti aborigeni. Infine, come indicato nei negozi turistici australiani e nei film sugli australiani bianchi, è diventato una sorta di emblema dell'Australia in generale. In seguito esso è diventato parte del nuovo strumentario musicale internazionale, come illustra il suo uso da parte di musicisti americani come Stuart Dempster negli esperimenti sul metallo e la plastica e il suo suono nelle cattedrali europee.

Questo strumento trova la sua strada nella storia attraverso una grande varietà di processi: una volta sembrava parte di un ampio kulturkreis; partecipa dell'abbandono della cultura tradizionale; è oggetto di acculturazione, reinterpretazione, sincretismo, modernizzazione, occidentalizzazione. Diventa parte di diverse culture; il suo suono resta lo stesso mentre il contesto sociale e musicale cambia; il suo ruolo simbolico muta da cerimoniale a etnico a nazionale. E' soggetto all'interazione con forze sociali, politiche, tecnologiche. Le modificazioni nell'uso e nel suono e nei concetti legati allo strumento hanno accompagnato le modificazioni culturali che provengono in gran parte da contatti fra le società. Ironicamente - e questo si vede nella musica di molte piccole società - il didjeridu è diventato sempre più noto e usato nello stesso momento in cui gli aborigeni australiani e la loro cultura sono stati sempre più assorbiti nella cultura dominante. E' chiaro che esso è un potente strumento per collegare il passato al presente.

2. La musica del presente è una mappa verso il suo passato

Lo studio etnomusicologico del rapporto del passato con il presente è cominciato con la creazione di mappe, cioè con lo studio delle distribuzioni geografiche. Così, i primi studiosi della musicologia comparata come Hornbostel e Sachs parteciparono allo sviluppo della teoria del Kulturkreis, secondo cui la distribuzione congruente di cluster di tratti aveva un preciso significato dal punto di vista storico. Un po' più tardi, etnomusicologi come George Herzog, Helen Roberts e Alan Merriam usarono le aree culturali degli antropologi americani come modelli per le loro aree musicali. In questo caso un'area contigua con un gruppo comune di tratti più concentrati al centro fu considerata come una mappa della storia; il centro, o climax, era il luogo di origine della cultura i cui tratti si diffondevano verso la periferia.

E' connesso a queste teorie quel tipo di ricerca in cui la distribuzione di un tipo melodico o di un tipo di ballata o perfino di un motivo - vengono in mente le ballate inglesi raccolte da Child o Sul castel che'l mira bel studiata da Marcello Sorce Keller - sono studiate nella convinzione che la distribuzione contemporanea possa illustrare la nascita del fenomeno. Gli studi di Bartók sulla musica popolare ungherese e la sua divisione in stili che rappresentano periodi è uno dei primi esempi del trasferimento del concetto di famiglia e tipo melodico ad interi repertori. Così, assumendo il termine "mappa" in modo più metaforico, un repertorio nella tradizione orale e la sua struttura interna, che vivono in un certo senso solo nel presente, possono anche essere una mappa verso il passato.

La mancanza di dati storici convenzionali nella forma di fonti scritte o di oggetti fisici ha generalmente portato a teorie dello sviluppo - guardate da alcuni come leggi e da altri come regolarità statisticamente significative - basate sulla freccia della storia, la tendenza a muoversi dal semplice al numericamente complesso, o sul circolo della storia, una sorta di alternanza fra apollineo/dionisiaco fino a classico/romantico, eccetera. Ma, qualsiasi siano le ipotesi di base su ciò che dovrà accadere, i musicologi hanno generalmente assunto che il presente contenga il passato. Le varianti di Lord Randall forniscono indicazioni sulla natura della melodia originale. Gli ultimi Quartetti ci dicono qualcosa sull'opera 18.

Può un repertorio tribale isolato fornire questo tipo di mappa? Talvolta non abbiamo proprio nient'altro. Permettetemi di fare un esempio di un tipo di analisi archeologica dello stile basandomi sulla cultura di Ishi, l'ultimo membro della tribù Yahi della California, talvolta chiamato, ai suoi giorni, "l'ultimo indiano selvaggio".

Escursione: le canzoni di Ishi

Ishi era l'ultimo superstite di una tribù che si isolò per sfuggire alla distruzione culturale e fisica da parte dei bianchi. La tribù era composta di circa 200 persone nel momento di maggiore ampiezza, ma non ce n'erano più di una dozzina nel 1900, solo 4 nel 1910 e Ishi, l'ultimo, si unì alla società occidentale nel 1911 e visse 5 anni alla Università di California a Berkeley, lavorando come informatore per l'antropologo Alfred Kroeber. Nell'ambito del suo lavoro, egli registrò il suo intero repertorio di canzoni, che includeva canti per molte funzioni. Estremamente semplice per quanto riguarda le scale, la forma e il ritmo, secondo i nostri standard convenzionali, questo repertorio era ciononostante estremamente vario. La maggior parte dei canti ha tre o quattro suoni e una forma bipartita in cui la seconda parte è in qualche modo la riaffermazione - variazione, estensione, contrazione, inversione - della prima. Questo è lo stile del repertorio centrale, stilisticamente parlando.

Ma c'è anche una parte molto più piccola del repertorio, più varia, che chiamerò marginale. Consta di canti che ricordano stili musicali che si trovano altrove nelle culture tradizionali nordamericane. Ci sono scale di quattro o cinque suoni. Ci sono due canti che usano la particolare forma ascendente della popolazione Yuma del sud-ovest degli USA. Altri ci ricordano gli Apache ed altri i canti delle pianure, con la loro discesa rapida e la forma basata sulla ripetizione incompleta. Che cosa ci fanno, in questo repertorio peraltro piuttosto omogeneo, questi canti periferici che suonano strani? Nei tempi passati, queste popolazioni erano distanti dalla tribù di Ishi nella California centrale. Nel periodo successivo al 1850, e forse anche prima, gli Yahi sembrano avere avuto scarsi contatti con l'esterno e la cultura si è deteriorata a causa della necessità della popolazione di spostarsi costantemente e insieme a causa del suo costante decremento e dell'emergenza costante che ne ha caratterizzato l'esistenza. Non sembra che si possa dividere l'insieme della cultura in componenti "centrali" e "periferiche".

Vorrei suggerire di interpretare il repertorio di Ishi come una mappa della propria storia e come indice di cambiamenti e contatti culturali. In primo luogo, la gran parte del repertorio evidenzia coerenza, come la cultura nel suo insieme. Il fatto che vi domini un solo tipo di forma e che esistano molte varianti è indice di una cultura musicale in cui i compositori continuarono a fare la stessa cosa per un lungo periodo. Ma le poche forme nello stile delle pianure, degli Yuma e Atabaschi, ci danno da pensare. Ci parlano forse della migrazione di canti da tribù a tribù? Oppure di viaggiatori di quelle tribù che lasciarono canti ma evidentemente poche altre cose? Dobbiamo considerare questi canti, estranei al repertorio centrale, come parte della cultura musicale Yahi o come aberrazioni? Ci sono molte interpretazioni possibili; ma io vorrei insistere sul fatto che la presenza di questi canti ha qualche significato dal punto di vista storico e che la storia di quella musica, se - o quando - la scopriremo, fornirà importanti indicazioni sulla storia di una cultura per la quale non abbiamo altri dati che ciò che fu appreso dal suo ultimo rappresentante.


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