Il tratto più ovvio dell'adunanza dell'Aissawa appena
descritta è la sua natura specifica al genere. Le donne, escluse
effettivamente (se non sempre ufficialmente) dalla piena partecipazione
insieme agli uomini agli atti di culto nella moschea, avevano formato una
comunità religiosa che comprendeva pratiche e convinzioni differenti
dalle interpretazioni ortodosse dell'Islam. L'importanza data ai santi
marabutici
in veste di intermediari spirituali era in contrasto con la dottrina religiosa
ufficiale, e gli uomini spesso accantonavano tali pratiche, considerandole
forme superstiziose di comportamento. Inevitabilmente ciò portava
a chiedersi perché questi riti non fossero interdetti o scoraggiati
in modo piu attivo dalle autorità islamiche, dato che contraddicevano
tanto chiaramente l'insegnamento ricevuto. Conoscevo l'imam di una
piccola moschea vicina, la cui sorella (con il suo consenso, perlomeno
tacito) suonava il bendir all'Aissawa. Mi resi conto interrogandolo,
così come durante conversazioni simili con altri uomini, che benché
le pratiche marabutiche non fossero considerate forme corrette di culto
per gli uomini mussulmani, si reputavano comunque accettabili per le donne
e per uomini emarginati dalla società. Le ragioni che venivano avanzate
erano spesso incerte e talvolta contraddittorie, molto probabilmente perché
in quasi ogni altro campo le nette differenze tra le pratiche sociali maschili
e quelle femminili erano tanto onnipresenti, ed apparentemente tanto 'naturali',
da non richiedere una seria analisi
(9).
Per certi versi, quindi, alle donne era concesso di eseguire queste pratiche, benché eterodosse, visto che fornivano un'attività ricreativa in gran parte innocua e semi-religiosa, durante la quale si manteneva la gerarchia femminile del vicinato (10). Oltre ai motivi religiosi dell'adunanza, spesso piuttosto vaghi (nessuna donna, per esempio, mi suggerì che partecipare all'Aissawa fosse un'azione richiesta dalla fede), questa isitituzione indubbiamente forniva alle donne la possibilità di costituirsi in un gruppo che riconosceva le loro autentiche preoccupazioni, offrendo un rimedio sia immediato che tangibile. Dato che ogni santo era associato ad un male particolare, il pubblico poteva inoltre discernere, osservando coloro che danzavano al suono di particolari canzoni, le doglianze e le indisposizioni altrimenti taciute delle proprie vicine. La maggior parte delle donne che eseguivano la danza finiva per svenire tra le braccia di amiche, che accarezzavano loro la fronte, allentavano loro gli abiti, e le facevano rinvenire. Le stesse donne che danzavano 'non erano in grado di controllare' la propria reazione alla musica, e di solito dicevano di non ricordare ciò che era successo. Non ho alcuna ragione di dubitare che ciò fosse assolutamente vero, anche se, naturalmente, questo le assolveva da qualsiasi accusa di autocompassione o autocompiacimento che sarebbe altrimenti stata mossa loro.
Una donna danza, 'sostenuta musicalmente' dal pubblico e dalle musiciste
Era dunque chiaro che l'Aissawa aveva funzione di gruppo di sostegno, dove, al sicuro, si potevano scaricare le angosce psicologiche all'interno di una comunità che offriva supporto e comprensione. E' significativo che la maggioranza delle donne che presenziavano a queste adunanze provenissero generalmente dai quartieri più poveri della città, fossero spesso analfabete, avessero minore libertà di movimento delle vicine più istruite, e che le loro prospettive di vita dipendessero maggiormente da fortuiti matrimoni duraturi. Se una moglie era divorziata dal marito, fatto alquanto comune, molto spesso questa ritornava dalla famiglia dei suoi genitori, nella speranza di un eventuale successivo matrimonio che fornisse sostegno a lei ed ai suoi figli. In circostanze come queste, in cui le donne si trovavano decisamente in balia di forze esterne al loro controllo, era perciò ragionevole che cercassero delle spiegazioni e delle soluzioni ai loro complessi problemi. Tuttavia, esprimendo le proprie frustrazioni nei modi descritti, le donne manifestavano allo stesso tempo delle caratteristiche stereotipiche di genere che giustificavano parzialmente il loro ineguale ruolo politico nella società. Nell'opinione comune in Marocco si riteneva generalmente che la 'natura femminile' fosse essenzialmente diversa da quella maschile. Mentre i tropi maschili erano associati alla sfera pubblica, all'autocontrollo, ed alla logica, l'essenza della femminilità veniva dipinta come irrazionale, superstiziosa e di irresistibile emotività. Tali generalizzazioni erano inevitabilmente colme di argomentazioni e punti di vista contraddittori, ma esse venivano comunque considerate abbastanza credibili da offrire supporto a molteplici pratiche sociali basate sulla polarizzazione dei generi. A livello locale si poteva sentire parlare di come in città moderne quali Casablanca e Rabat, o oltre il confine a Waharan, le donne fumassero sigarette, bevessero birra e guidassero automobili, ma ad Oujda tale licenza era considerata ancora scandalosa. Dato che le donne non erano considerate in grado di frenare le proprie passioni, loro stesse e la loro comunità avevano bisogno di essere protette restringendo il loro accesso a sostanze inebrianti ed alla libertà di movimento. Darsi a tali pratiche costituiva dunque un atto 'maschile' e le donne che vi si dedicavano apertamente erano paragonate alle prostitute. Ciò probabilmente derivava dal fatto che l'appropriazione di altri attributi in teoria 'maschili' era associata ad un presupposto ruolo sessuale attivo, benché tali etichette servissero anche a distanziare le comunità femminili che agivano secondo la morale da quelle che agivano contro la morale.
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