5. Creuza de mä
Il tentativo riesce, splendidamente, a Fabrizio De
André e a Mauro Pagani, che compon-gono e producono
insieme l'album Creuza de mä, uscito nel 1984 (3). Il
presidente della Ricordi, informato che le canzoni sono
in dialetto genovese, pronostica vendite per un migliaio
di copie. Da allora Creuza de mä è uno dei
dischi più amati e più venduti non solo di De André,
ma di tutta la popular music italiana, indicato fra i
preferiti anche da musicisti come David Byrne, e
inevitabilmente citato nelle guide alla World Music, alla
voce "Italia". Ma è davvero genovese il
dialetto di quelle canzoni? Mauro Pagani ricorda in
un'intervista che "all'origine avrebbe dovuto essere
il disco di un viaggiatore, un marinaio, che ritorna a
casa dopo tanti anni e parla una lingua che è un
miscuglio di mille idiomi - quelli che lui ha incontrato
nel suo peregrinare. Con Fabrizio, il progetto era dunque
quello di scriverlo in una lingua inventata. Successe poi
che, a tre quarti della lavorazione, a Fabrizio venne
l'idea geniale di fare il disco in genovese (una lingua
che contiene già 1.000/1.200 vocaboli di origine
araba)." Non siamo in grado di risalire alle fonti
di Pagani, né di precisare se i vocaboli di origine
araba siano mille o milleduecento, o qualsiasi altra
cifra (si può presumere meno esatta). Ma i genovesi che
ancora parlano il dialetto trovano che la lingua di Creuza
de mä sia un artefatto generoso e ingegnoso, forse
solo un po' meno inventato della lingua franca che
sarebbe emersa dal progetto originale. Fedele al
progetto, comunque, è la musica. Mauro Pagani si interessava già da anni a quelle che definisce le "filiazioni illegittime... della cultura 'turca'" - così almeno viene indicata nella stessa intervista - "a contatto con le culture autoctone, nei paesi slavi, in Italia meridionale come nel Nord Africa". Pagani non è un etnomusicologo: è un musicista di progressive rock (protagonista negli anni migliori della PFM) con esperienze anche con uno dei gruppi più creativi del folk-revival italiano, il Canzoniere del Lazio. Il suo rapporto con le "culture autoctone" non è filologico, ed è in buona parte (anche se non esclusivamente) mediato dai dischi. In Creuza de mä il suo contributo strumentale è il seguente: oud, saz, bouzouki, mandole e mandolini, violino e viola a plettro, una tastiera Roland, flauti e voci. Non si hanno notizie precise su come e quando Pagani abbia studiato ciascuno di questi strumenti, a parte il violino e il flauto che suonava già con grande competenza nella PFM: tuttora, comunque, Pagani in concerto utilizza diversi bouzouki, ciascuno con una diversa accordatura open, che non corrisponde all'accordatura del bouzouki utilizzata in Grecia.
Dal punto di vista musicale, quindi, Creuza de mä non promette niente di più dell'onesto suggerimento autobiografico della prima idea di Pagani: un marinaio che torna da porti lontani conservando una memoria approssimativa dei suoni ascoltati laggiù. Ma l'idea di Fabrizio De André di cantare nel "suo" genovese, e le aspettative mitiche della comunità popular italiana verso una musica mediterranea affrancata dalle tradizioni note, fanno scattare il discorso a un altro livello. Creuza de mädiventa allora, e tutt'oggi rimane nell'ideologia della popular music italiana, il paradigma di un Mediterraneo finalmente "autentico", riscattato dai folklorismi oleografici del passato come dal pedantismo dei filologi. Quanto questa formazione ideologica corrisponda alla sostanza dell'operazione di De André e Pagani lo si può comprendere facilmente. |
6. Ideologia e
categorie musicali
L'esempio di Creuza de mä e più in generale la vicenda della nozione di mediterraneità nella popular music italiana suggerisce qualche considerazione sulla formazione delle categorie musicali. Una convinzione del senso comune difficile da smantellare è che una categoria contenga tutti gli elementi che corrispondono a una definizione della categoria stessa, o a qualche criterio di selezione. Il modello delle categorie sarebbe, in sostanza, quello dei taxa delle scienze naturali. Gli psicologi cognitivi hanno obiettato da molto tempo che spesso le categorie vengono costruite riferendosi a best examples, a prototipi, o a "arie di famiglia" (4). Probabilmente le categorie musicali non fanno eccezione. Ma trattandosi di categorie eminentemente culturali, va tenuto presente non solo l'accordo - continuamente soggetto a rinegoziazione - all'interno della comunità che accetta di riconoscere una certa categoria, ma anche la funzione dialettica dell'ideologia, intesa (come la intende Eco nel suo Trattato di semiotica generale) come gerarchia di codici. Una definizione di "mediterraneità" in musica, per restare al nostro argomento, non può prendere in considerazione solo una serie di elementi o parametri o interruttori on/off (dalla storia alla provenienza geografica alla ricorrenza di stilemi, tecniche vocali e strumentali, eccetera), ma anche l'intenzione della comunità musicale o di sue componenti di prendere tutto ciò in considerazione, per qualsiasi ragione. La mediterraneità delle danze bulgare, rivendicata tacitamente dagli Area e motivata da Mauro Pagani con un'argomentazione più sofisticata, non può essere ignorata o trattata con sufficienza. Bisogna rassegnarsi a che, quando si ha a che fare con unità culturali, non si possa parlare di un punto di vista privilegiato, obiettivo, scientifico. Le categorie sono l'oggetto e contemporaneamente il motore del confronto: tutti sono coinvolti, nessuno può stare a guardare. In questo senso le identità problematiche, le costruzioni evidentemente contraddittorie o incomplete o troppo complete (come il punk o come la "musica mediterranea") costituiscono un invito esplicito all'attenzione, e a maneggiare con maggior cura anche le categorie apparentemente più chiare e consolidate. |
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