3. Metafore di possessione

In Marocco gli spiriti sono chiamati al-mluk - i possessori, dal verbo ma-la-ka, possedere. Esiste una relazione di potere all'interno del corpo del posseduto, che è spesso conflittuale fintanto che questi sia sottomesso al possessore. Come ha osservato Fuson (2001), vi è una relazione metonimica tra la possessione spiritica e le esperienze della schiavitù del passato; entrambe sono chiaramente collegate. Secondo le credenze del Marocco, gli spiriti non possono essere esorcizzati. Essi abitano l'ospite. Una persona posseduta, infatti, è detta essere meskun - abitata dai possessori. Il corpo diventa una residenza dove gli spiriti risiedono e che essi modificano in modo irreversibile. Questo è il motivo per cui la propiziazione è tanto importante. Se il corpo non è un ospite accogliente, l'inquilino causerà problemi per tutta la vita. Al contrario, placando gli spiriti, si può prendere parte del loro potere. L'ospitalità è necessaria per la coesistenza, ma la persona posseduta non è diminuita dall'essere abitata: potrebbe perfino giungere a controllare lo spirito che abita al suo interno.

Esistono due modi di interpretare il verbo "possedere". Uno spirito possiede qualcuno, si è posseduti da un essere incorporeo, che anima gli arti, fa muovere la bocca e fa risuonare le corde vocali. Dei colori sono spesso correlati con gli stati di possessione, compaiono delle aure; l'incenso, o quanto meno determinati odori, accompagna la transizione dall'essere se stessi all'essere incarnati da uno spirito, "abitati" (meskun) da un altro. Questa relazione è di tipo fisico, il senso della differenza viene infuso nelle facoltà corporee, nelle loro sinapsi e reazioni, come se fosse bario immesso nel flusso sanguigno; il corpo diventa magnetizzato, trasparentemente denso. La possessione richiede una reazione alchemica, una trasmutazione di materia fine e densa siccome si incontrano e si cambiano vicendevolmente due sostanze differenti.

Ma si può anche possedere la cultura così come si possiede una macchina, un cappotto, un animale domestico. Questa relazione include uno scambio - denaro per merce nel caso di un oggetto, o cibo e protezione per l'affetto e l'amicizia. Il possesso di un oggetto non richiede al possessore di essere cosciente della sua proprietà. Possedere una cultura, comunque, è spesso qualitativamente diverso. Per poter possedere una cultura - per "possederla" veramente, poter affermare di averlo fatto - si deve "venire a patti" con essa, cioè si devono creare i termini della cultura, definirla, esserne consapevolmente posseduti, essere posseduti da un'idea di cultura. Come numerosi studi hanno dimostrato (Casey 1997; Csordas 1993; Feld 1982; Serematakis 1994), la cultura è impersonata, sovrapposta negli strati del sé. Essa pertanto deve essere ricavata dalle vene e dai tendini del corpo, tirata fuori e trasformata in un modello. La cultura, poiché vive nei recessi inconsci dei nervi e degli organi, viene alla luce quando incontra la differenza - come quando un liquido urta l'aria, o l'acqua si trasforma in vapore.

Queste osservazioni sono introduttive ad un incontro quale quello tra il maestro Gnawa Abdullah El-Gourd, il proprietario del Dar Gnawa, e il pianista e compositore jazz afro-americano Randy Weston. La loro collaborazione può essere vista come il catalizzatore di un reciproco possesso di cultura che ridefinisce le storie e gli immaginari culturali.


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