8. Abitare una cultura

Cosa significa possedere una cultura? Cosa è posseduto? Chi è il possessore? Come il possesso viene dichiarato, riconosciuto e esperito?

Nella connessione fra suono e significato non sorprende che certi segni si siano svuotati di alcune delle loro associazioni e riempiti con altre. Ciò che è interessante è osservare quali significati vengano rimossi e quali ripresi come metonimie di identità culturale. Le esposizioni al Dar Gnawa ci ricordano che noi abitiamo i nostri sensi in modo diverso. Talvolta ne abbiamo padronanza, e qualche volta sono loro a possedere noi. Certamente la questione del potere e della forza sorge in relazione ai differenti sensi - udito, specularità, il tatto e la volontà di scrivere - anche se sarebbe superficiale supporre che essere posseduti da uno spirito, una cultura, un genere di musica, un'immagine o un'idea implichi necessariamente il suo assoluto predominio. Piuttosto, si tratta di analizzare le relazioni di desiderio (soggettivazione e oggettivazione) inerenti a questi incontri e il modo in cui le forme culturali abitino i corpi e gli immaginari a differenti gradi di profondità e compatibilità, in una sorta di affinità elettiva.

Il Dar Gnawa mostra non soltanto il processo dell'essere posseduto somaticamente da diverse culture, ma proclama altresì il diritto al possesso di cultura, oggettivando un concetto di tagnawit, "gnawità", mediante l'indicazione in una forma scritta e ufficiale di specifiche tradizioni Gnawa praticate a Tangeri. Qui, nel luha, Abdullah El-Gourd è proprietario indiscusso. Creando l'indice, egli diviene l'autore della tradizione e la inserisce nella storia locale e globale. Potremmo ipotizzare che una codifica della tradizione regionale sta avendo luogo in risposta alle forze centrifughe del transnazionalismo (Erlmann 1993; 1996). È comunque interessante osservare che la produzione di alterità nella sede del locale al Dar Gnawa ha creato una costruzione di similarità a livello del globale, quale la collaborazione interculturale di Abdullah El-Gourd e Randy Weston che ha enfatizzato i legami della storia comune ed una concezione estetica condivisa. Tuttavia le rivendicazioni genealogiche di autenticità di Abdullah El-Gourd comprendono molto di più di una singola traiettoria musicale, risalendo ai diciotto paesi africani che circondano il luha, ai maestri marocchini che sono stati suoi insegnanti, ma anche ai maestri del jazz negli Stati Uniti. Qui non vi è essenzialismo (Kelly 1998, 2001). Piuttosto, l'identità è una questione di 'collegamenti' che non sono puri ma determinati dagli spiriti possessori. Alcune persone sono collegate (martabit) agli spiriti e al colore blu, altri al rosso, verde, bianco, giallo, nero. Le affiliazioni sono determinate dal desiderio, dalle attrazioni che alcuni spiriti esercitano su alcune persone. L'identità non è tanto nel sangue quanto nella propensione.

Nel caso del Dar Gnawa, la locale, particolare estetica Gnawa diviene un feticcio da esportazione? Oppure è piuttosto il patrimonio internazionale e soprattutto afro-americano che è importato, feticizzato e messo in mostra per un pubblico locale? Io suggerirei che entrambe queste interpretazioni sono troppo superficiali per rendere conto delle performance e delle mostre al Dar Gnawa. Gli Gnawa , per così dire, hanno sempre sperimentato l'alterità nel sangue. La loro è una tradizione ibrida, composta da un diverso pantheon di spiriti con i quali essi hanno una relazione fisica e spiriturale. Secondo Gilroy (1993:73), questo li rende moderni perfino prima dell'avvento del modernismo. Essi sono abituati a questa relazione con la molteplicità. Per loro non è insolito veicolare una diversa modalità di essere, o che uno spirito possessore riorienti in qualcuno il senso del gusto, tatto, odorato, il modo in cui questo qualcuno sente e parla, canta e si muove, e perfino interpreta il mondo. Questo è quel che significa abitare un regno che include non soltanto gli esseri umani ma i mluk, gli spiriti possessori, siano essi santi che erano un tempo incorporati oppure spiriti che hanno sempre vissuto in un regno parallelo. Gli Gnawa e i loro seguaci sono esperti in questo tipo di cambiamento di habitus. È forse per questa la ragione che l'esposizione della loro cultura è così comprensiva di altre tradizioni: il panorama sonoro al Dar Gnawa è vario quanto il pantheon degli spiriti, ciascuno proveniente da una cultura differente, ciascuno incarnando la propria storia. Gli Gnawa riconoscono e rispettano lo stato di essere posseduti dalla differenza (con tutte le relazioni di potere che implica), ma, nondimeno, non perdono mai la capacità di ritornare al sé culturale in quanto essi stessi si definiscono in rapporto a, e "vengono a patti", con esso.

Degli spiriti abitano i nostri corpi, siano essi lo spirito di Thelonius Monk o quello di Mosè. Essi mettono radici non soltanto nelle nostre coscienze, ma nei muscoli delle nostre dita quando imitiamo i loro gesti e movimenti caratteristici, nei nostri modelli di respiro, quando dondoliamo ai loro ritmi, al loro particolare beat (dukka). Noi li assaporiamo nell'infusione di odori che essi richiedono vengano rilasciati nell'aria. Noi li respiriamo. Qualche volta ci fanno morire, ma sempre per farci fare esperienza, nelle parole di Randy Weston, di "un'altra dimensione". Ciò è vero anche per gli immaginari culturali. I ricordi culturali vivono nel corpo come presenza. Noi siamo posseduti dalle ripetizioni che facciamo ogni giorno, dai suoni che risiedono nel nostro panorama sonoro. Ma siamo anche sempre chiamati in causa per giungere a patti con l'identità culturale, con la codificazione e l'oggettivazione non solamente di altre culture ma della nostra stessa. Abbracciando questa possessione duplice di cultura, e questa relazione multipla con la musica e la storia, gli Gnawa partecipano ad un'economia globale di gusti estetici e stili, mentre creano la loro specifica relazione con la storia e gli antenati.


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