La Shechinah, o il sacro femminile nelle musiche degli ebrei del Mediterraneo Nell'accingermi a formulare per la prima volta il contenuto di questo articolo e ad iniziare le relative ricerche, intendevo specificamente analizzare un caso particolare che contribuisse al tema generale della "Musica come Rappresentazione di Genere nelle Culture Mediterranee", oggetto del meeting del Gruppo di Studio dell'ICTM su "Musica e Antropologia nelle Culture Mediterranee" tenutosi a Venezia nel giugno 1998. La intenzione era quella di cominciare in ambito locale - cioè con un esempio particolarmente evidente dell'impatto del genere nella musica ebraica - e di esaminare poi i modi in cui tale caso specifico poteva essere esteso alle comunità ebraiche del Mediterraneo. Per qualsiasi studioso di musica e cultura ebraica, la shechinah, cioè la presenza femminile di Dio, la cui più familiare rappresentazione è quella della sposa del Sabbath, era un ovvio punto di partenza, un locus classicus ricco di importanza metaforica nel rituale locale della sinagoga e delle sue pratiche musicali. La sposa del Sabbath arriva in ogni sinagoga ebraica durante la liturgia del venerdì sera e rimane presente nella vita della comunità quando questa si raccoglie per pregare; prende congedo quando la comunità si disperde di nuovo al termine delle preghiere del Sabbath per ritornare il sabato successivo. L'arrivo della sposa del Sabbath , inoltre, è sancito da un canto, L'cha dodi, la cui esecuzione ne rappresenta l'ingresso fisico nella sinagoga. Man mano che esploravo le varie dimensioni della shechinah, tuttavia, diveniva sempre più difficile contenere l'analisi in prospettiva locale. La metafora tendeva a diventare metonimia e la mia attenzione cominciò a rivolgersi al Mediterraneo in un senso molto più complesso. In altre parole, uno studio che mirava a cogliere il genere in una dimensione locale andava trasformandosi in un saggio in cui il genere nelle sue molteplici dimensioni offre lo spunto per proporre tesi molto più generali sulla musica nel Mediterraneo e, di fatto, sulla ontologia della musica ebraica e sulla metafisica del pensiero musicale ebraico. Privilegiando il genere in questo modo non affermo semplicemente - o solamente - che il genere si trova ovunque nella musica del Mediterraneo ebraico. Piuttosto, la mia affermazione - e voglio chiarire questo punto in modo inequivocabile in questa introduzione - è che ciò che costituisce la musica ebraica come tale, vale a dire, il modo in cui la "musica ebraica" prende forma come modo di concepire ed esprimere l'idea di ebraismo, deriva dai modi in cui il genere crea il tempo e lo spazio nel Mediterraneo ebraico e dai modi in cui una storia e un mondo del Mediterraneo "dotati di genere" servono come strutture di fondo dell'identità ebraica e costituiscono i confini che separano ciò che è altro dall'ebraismo. Nel presente articolo, dunque, il genere assume varie forme nei diversi casi di musica ebraica mediterranea che prenderò in considerazione. Sebbene faccia ricorso a rappresentazioni linguistiche che adottano i tradizionali dualismi di genere - femmina e maschio, femminile e maschile - tale linguaggio è in gran parte inadeguato per descrivere i modi in cui musica e genere si incontrano ed interagiscono. Maschio e femmina, infatti, coesistono nei diversi casi qui analizzati ed è la musica ad offrire l'opportunità di comprendere il meccanismo interno di tale interazione, il modo in cui essa traccia sulla storia culturale ebraica del Mediterraneo un panorama molto più complesso del "trovarsi a metà strada" (in-betweenness). Gli esempi che seguono non sono omologhi, ma vorrei piuttosto suggerire che essi sono "morfologhi", ed è nella capacità rappresentativa della shechina che possiamo comprendere i significati più profondi della loro comune morfologia.
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