5. Il Mediterraneo e la diversità: narrazioni della storia ebraica e genere
Esiste anche un sacro maschile nel Mediterraneo, anche se la sua presenza in questo articolo è stata più implicita che esplicita. L'ontologia del sacro maschile, o tiferet, è quello di una presenza ininterrotta che occupa insistentemente le pratiche musicali della sinagoga e l'educazione religiosa di uomini e ragazzi. I suoi motivi storiografici sono quelli della continuità e della tradizione ininterrotta. E' l'immaginazione di un Sé culturale oltre l'influenza di altri. Il sacro maschile, come direbbe Elaine Marks, è l'ebraismo "vista" anzichè "sentita", l'ebraismo che "esiste già," in contrasto con quella che deve essere richiamata all'esistenza tramite la performance (Marks 1996). Tiferet ha molteplici significati che dipendono dalle prospettive di diverse comunità ebraiche e da tradizioni interpretative, ma che non dipendono da nessun tipo di relazione dialettica con la shechinah. Sebbene mi sia soffermato principalmente su esempi di pratiche musicali femminili, non è mia intenzione privilegiare il femminile sul maschile. Al contrario, sono soprattutto interessato a puntare l'attenzione nell'area esistente fra i due, uno spazio di unione, comunità e di esecuzione del sacro in una complessa polifonia narrativa dotata di aspettido genere in cui il rito del Sabbath crea uno spazio sia per la shechinah che per il tiferet. E' in questa regione di confine o spazio "mediano" che la musica particolarizza lo spazio e il tempo del Mediterraneo (cfr. il "terzo spazio" di Bhabba in Bhabba 1994). Ciò che è ancora più importante, lo spazio mediano possiede le qualità del transito: vi si accede o si oltrepassa una soglia nei confini; lo scambio - di lingua, di canto, di cultura - definisce questi confini col trasgredirli; ed è in questi confini che il genere dà significato alle storie e ai confini da entrambi le parti. Il complesso motivo del genere nella musica ebraica rimanda al motivo ugualmente complesso del genere nella storia ebraica. La teleologia di una storia motivata dal ritorno al Mediterraneo orientale, a Gerusalemme e a Sion, si oppone a quella marcata dall'esilio e dalla ripetizione senza tempo di atti del ritorno, come quelli ritualizzati attraverso le pratiche musicali del sacro maschile. Una storia ebraica deriva dal confronto con la diversità, dall'interazione con culture non ebraiche e dalla performance di cultura quotidiana attraverso musiche ibridizzate. L'altra storia ebraica stimola l'immaginazione del Sé attraverso la musica e il rito negli spazi dell'autenticità. La shechinah, il femminile sacro, non è in grado di rappresentare la continuità suggerita da una storia teleologica del ritorno; infatti essa stessa deve ritornare di nuovo ogni settimana come la sposa del Sabbath. I temi storiografici e teologici della tradizioni e dell'autenticità hanno dimenticato il fatto che anche la shechinah esiste, che il suo ingresso da sposa è in qualche modo interrotto, se non deliberatemante lasciato non consumato. Alla fine del ventesimo secolo, mentre nel 1998 il moderno stato d'Israele celebra il suo cinquantesimo anno di esistenza, la questione non è più se la diaspora, come condizione della storia ebraica, si dissolverà o prenderà congedo come lasposa del Sabbath che simboleggia la diaspora. La diaspora rappresenta la condizione ibrida che ora occupa gli spazi della storia ebraica moderna e postmoderna. Il mondo metonimico delle narrazioni storiche ebraiche dotate di aspetti di genere è pieno di fratture che richiedono il costante tentativo di integrare il sacro femminile e il sacro maschile negli stessi spazi dell'unione, quegli spazi che ho descritto come in possesso di una metafisica della "condizione intermedia" (in-betweenness). Se la discontinuità che deriva dall'incontrare il proprio Altro culturale genera la musica del Mediterraneo ebraico, essa determina anche la storia di quest'ultimo, una storia in cui ogni partenza della shechinah crea lo spazio per il ritorno della sposa il prossimo Sabbath. |