5. La Madonna Addolorata
Nel mondo cristiano cattolico e ortodosso il ruolo delle donne come "coloro che sopportano il dolore" trova conferma nel culto di una figura femminile, Maria, la cui eccezionale grandezza all'interno della gerarchia cristiana è una delle maggiori peculiarità del cristianesimo cattolico e ortodosso nei confronti della religione ebraica e dell'islam. Come è noto, la posizione preminente di Maria non è un elemento originale del cristianesimo: nei vangeli ella appare solo come figura marginale, come una povera donna della Galilea che fu la madre di Gesù, e a questo proposito andrebbe ricordato che i vangeli di Marco e Giovanni non riportano gli episodi dell'Annunciazione di Maria e della nascita di Gesù, né gli episodi ad essi correlati narrati da Matteo e Luca. Il culto di Maria si sviluppò in seguito: fu solo nel V secolo che il carattere sacro della figura di Maria divenne argomento di discussione teologica. Considerata la forte influenza dell'Ellenismo sulle prime fasi del cristianesimo, non c'è da meravigliarsi che i fedeli della nuova religione fossero in cerca di una figura in grado di sostituire le divinità femminili il cui culto era diffuso nel periodo ellenistico. Ciò condusse a forme di sincretismo tra Maria e dee precristiane come Iside, madre e redentrice, il cui culto era estremamente popolare nell'impero romano (C. Schneider 1967: 535, Baltrusaitis 1967, Magrini 1986: 116-122). Il concilio di Efeso (431 d.C.) stabilì che Maria era la Theotokos, la Madre di Dio, mettendo così fine alla controversia che aveva diviso i primi cristiani. Da allora l'importanza di Maria nell'Europa mediterranea cristiana crebbe regolarmente, soprattutto dopo l'inizio del secondo millennio (Wolf 1969). Anche se questa non è ovviamente la sede per una discussione dettagliata della storia del culto di Maria, vorrei osservare che i più importanti motivi di disaccordo su Maria tra Cattolici e Ortodossi - che riguardano l'Immacolata Concezione e l'Assunzione o Dormizione - non sembrano aver cambiato la percezione della figura di Maria fra i fedeli. Come mostra l'iconografia popolare, sia i cattolici che gli ortodossi guardano a Maria prima di tutto come "la madre": il suo essere simbolo stesso della maternità è la ragione prima della sua posizione preminente tra i fedeli di entrambe le religioni. Il ruolo di Maria come madre è del tutto in accordo con il ruolo fondamentale delle donne in area sia cattolica che ortodossa, dove esse sono considerate essenzialmente come strumenti della riproduzione - a differenza di quanto accade nel mondo islamico, in cui le donne sono considerate fondamentalmente come strumenti della sessualità (si veda l'articolo di Karin van Nieuwkerk in questo numero di M&A).
Dal momento che rappresenta l'universale esperienza femminile della maternità, la cui rilevanza viene enfatizzata nel mondo euro-mediterraneo, Maria offre un modello col quale le donne cristiane di questo territorio possono facilmente identificarsi. Come scrive Gill Dubisch: "A livello delle pratiche devozionali popolari, la preminenza di Maria è stata usata per spiegare la grande partecipazione delle donne laiche alla vita religiosa quotidiana che è stata spesso osservata in tutto il Mediterraneo. Maria, così si sostiene, offre un modello alle donne nella loro vita quotidiana, il modello del sacrificio di sé e della madre virtuosa. Questo modello è in accordo con i ruoli sociali che spettano alle donne, mentre - al contrario - "le virtù che rappresenta Cristo non costituiscono un modello altrettanto soddisfacente per gli uomini del Mediterraneo" (Dubisch 1995: 233; si veda anche Saunders 1981: 440) (2).Secondo Nancy Frey Breuner, "Maria rappresenta la madre ideale, la pietra di paragone, e deriva il suo potere dalle qualità del sacrificio di sé e della dedizione. Le donne possono rispondere a quell'immagine perché si identificano con questi attributi, che sono in sintonia con la loro esperienza nella società" (Breuner 1992: 79). Vorrei suggerire, tuttavia, che Maria è qualcosa di più che un semplice modello di madre: non si può dimenticare che Maria è anche la Madonna Addolorata, la madre che ha perso suo figlio e che ha provato il dolore più profondo. E' l'esperienza del dolore che rende Maria una figura così umana, così vicina a tutte le donne del Mediterraneo cristiano che si trovano alle prese con la sofferenza nella loro vita quotidiana. L'importanza della Madonna Addolorata è testimoniata ad esempio dagli impressionanti riti della Pasqua, che è oggi la festa cristiana più popolare nell'Europa meridionale (cfr. Boissevain 1992). La tradizionale rappresentazione della Madonna Addolorata con il seno trafitto dalle sette spade offre un'interpretazione tra le più eloquenti del dolore di Maria. Tale sofferenza è spesso percepita come tanto importante quanto la stessa passione di Cristo. Questi morì, fu resuscitato e si ricongiunse al padre in cielo, ma Maria rimase sulla terra a piangere il figlio morto (Dubisch 1995: 214-5). In tal modo, il suo dolore materno diventa il più importante punto di riferimento per quelle donne che devono confrontarsi con l'esperienza della sofferenza durante la loro esistenza.
Durante la processione le donne svolgono un ruolo silenzioso, ma alquanto espressivo: esse portano sulle loro teste i cinti, oggetti devozionali che possono o essere pieni di grano, o servire da supporto alle candele. Il cibo e la luce sono così i simboli associati alla femminilità durante i riti e rappresentano la donna come nutrice (il cui archetipo è la "madre nutrice") e redentrice. Immagini della processione della Pasqua: Cristo e gli ebrei
Inoltre, a Pasqua, nella Calabria settentrionale come in molte altre regioni del Mezzogiorno (cfr. Giallombardo 1977:18), le donne preparano anche i cosiddetti lavurieddi o crocette: mettono alcune piante di grano in una camera senza luce, in modo che esse perdano il colore naturale e diventino il simbolo del corpo morto di Cristo. Queste piante, poste su una croce di legno (crocette) o, alternativamente, in piccoli vasi (lavurieddi) sono collocate sugli altari assieme ad un'immagine di Cristo o della Madonna Addolorata: esse rappresentano il grano che non è potuto crescere, si riferiscono cioè al tema della morte attraverso la metafora del cibo. Il punto culminante del dramma della Settimana Santa si raggiunge la notte prima del Venerdì Santo: in uno di questi villaggi hanno luogo due diversi riti, uno eseguito dalle donne e l'altro dagli uomini. Le donne più anziane si riuniscono per cantare nella chiesa principale, situata nel cuore del villaggio, svolgendo in tal modo la parte più importante del loro "lavoro del dolore". Esse cantano infatti un planctus, cioè il lamento della Madonna Addolorata per il figlio morto. Il disegno melodico, così come il testo, è infatti caratteristico del lamento.
Nel planctus la madre ricorda le bellezze del figlio, le sue guance, i suoi santi piedi, le sue sante mani, la sua dolce bocca, i suoi occhi luminosi, i suoi capelli dorati, e confronta ogni particolare del Gesù vivente con il misero aspetto del Cristo morto. La madre dice a Gesù che è stato per lei sia un marito che un padre, anche se è stata lei a generarlo. Gli dice che non può fare a meno di piangere, vuole tenerlo sul suo seno e bagnarlo con le sue lacrime; lo prega di consentirle di stare con lui nella tomba e - quando lui risponde che questo non è possibile - gli dice che aspetterà fintanto che non uscirà fuori dalla tomba e che se non uscirà comincerà piangere e a raccontare a tutti la ragione del suo lamento, e che lo piangerà fino alla morte (Magrini 1986: 413-417). Esiste chiaramente una stretta relazione tra questo planctus Mariae e il rito del lamento menzionato sopra. Tale rapporto è evidente, ad esempio, nell'elemento dialogico del planctus e, soprattutto, nel disperato tentativo della madre di negare la realtà della perdita irreparabile: infatti, il lamento funebre ha generalmente la forma di un dialogo ideale tra chi piange e il defunto, attraverso il quale la persona in lutto si rifiuta di accettare la realtà della morte. Allo stesso tempo, questo planctus mostra di avere anche i caratteristici aspetti terapeutici del lamento: infatti, trovare i modi per "dire" il dolore attraverso parole, gesti e suoni è il primo passo verso la sua trasformazione, il suo superamento e la reintegrazione nella realtà delle persone colpite dal lutto. E' importante sottolineare a questo proposito che il principale agente di questa pratica terapeutica non è Maria, naturalmente, ma piuttosto quelle donne che, eseguendo il planctus, sanno trovare le parole, i suoni e i gesti per svolgere il loro personale "lavoro del dolore" e per lamentare simbolicamente le proprie perdite. Inoltre, il rito del lamento della Madonna Addolorata svolge un ruolo importante anche nella rappresentazione di Maria come modello emblematico della donna che soffre - un modello pieno di umanità. Non è un caso che le donne cristiane si identifichino facilmente con Maria come la loro prima "compagna" nell'esperienza del dolore (cfr. Toschi 1976: 685). Naturalmente possono esserci altre circostanze contestuali che rinforzano il messaggio di questo rituale. Se si accetta l'idea che la Pasqua assume, oltre al suo significato religioso, anche una valenza più ampia come rappresentazione emblematica di un'esperienza di distacco e perdita, allora per le donne di questi villaggi l'identificazione con la Mater Dolorosa diviene ancora più significativa. Da un lato, esse vivono in una regione in cui si pratica la residenza uxorilocale (Magrini 1986: 23-24), il che implica il distacco delle madri dai propri figli quando questi ultimi si sposano (una perdita che controbilancia il privilegio delle donne di vivere in stretto contatto con la loro famiglia d'origine). D'altro canto, non possiamo dimenticare la massiccia incidenza del fenomeno dell'emigrazione in questa regione. Queste potrebbero essere ulteriori ragioni che rinforzano la sensibilità di queste donne di fronte ai temi del distacco e della perdita. La posizione di rilievo della Madonna Addolorata nell'ambito dei riti della Settimana Santa, in questo contesto, è ulteriormente enfatizzata dal comportamento degli uomini dello stesso villaggio durante la notte di Venerdì Santo. Mentre le donne lamentano la morte di Cristo nella chiesa principale, alcuni uomini eseguono il rito dei battenti fuori dalla chiesa. Vestiti di rosso, con la faccia parzialmente coperta, i battenti si feriscono alle gambe, per poi correre a piedi nudi attraverso il villaggio e offrire il loro sangue alla Madonna Addolorata sui gradini o sulle mura di alcune chiese.
Occorre sottolineare che questo rito non fa riferimento alla morte di Cristo, ma piuttosto all'adempimento di un voto personale alla Madonna Addolorata. In termini psicoanalitici, questo comportamento può essere collegato ad una profonda situazione irrisolta di dipendenza verso la madre, rappresentata simbolicamente dalla Mater Dolorsa (cfr. Magrini 1986: 92-109). Tuttavia, ai fini di questo articolo è più importante evidenziare il fatto che i comportamenti degli uomini e delle donne durante questo rito sono completamente diversi: mentre gli uomini offrono un sacrificio di tipo fisico, come in molti altri riti cristiani, le donne offrono la loro abilità di elaborare la sofferenza psicologica. Ciò può forse essere considerato come un indizio per comprendere i diversi ruoli associati alla femminilità e alla mascolità negli eventi rituali-religiosi. Non c'è dubbio che i riti della Pasqua offrono lo spunto per la più diretta identificazione delle donne con Maria nelle vesti di Madonna Addolorata. Il ruolo della madre sofferente, tuttavia, compare anche in altre azioni rituali, come i pellegrinaggi. E' noto che i pellegrinaggi sono un fenomeno complesso e polimorfo che può essere studiato da molteplici punti di vista (cfr. Bohlman 1996, Boissevain 1992, Dubisch 1995). Mi limito a far notare qui il fatto che gran parte delle mete di pellegrinaggio nell'Europa meridionale è costituita da santuari dedicati alla Madonna (che sono circa il 40% dei santuari esistenti in Italia meridionale): il numero stesso dei santuari è indice dell'eccezionale posizione della Madonna nella devozione popolare. E' ben noto che i pellegrinaggi non sono un fenomeno esclusivamente femminile, perché anche gli uomini vi prendono parte; tuttavia, secondo la letteratura e la mia stessa esperienza, il "lavoro del dolore" svolto durante questi pellegrinaggi sembra essere eseguito, una volta di più, dalle donne, che mettono in atto comportamenti, comuni alle aree cattoliche e ortodosse, che sono stati osservati in varie regioni dell'Europa meridionale. Questi comportamenti comportano una serie di azioni che sono generalmente eseguite prima dell'arrivo al santuario, alla sacra immagine o alla statua contenuta in esso. Tali azioni possono consistere nell'avanzare verso il santuario sulle ginocchia, camminare a piedi nudi, strisciare la lingua sul suolo, battersi il petto, toccare e baciare oggetti sacri, sciogliere i capelli, portare offerte, indossare un abito bianco (che sarà poi lasciato al santuario come offerta), gridare, piangere, svenire, invocare la Madonna, pregare insistentemente per ottenere una grazia (cfr. Rossi 1986: 76, Dubisch 1995, Brandes 1980). Il comportamento devozionale può così includere l'auto-umiliazione e la pubblica esibizione del dolore. Attraverso queste azioni, le donne affermano il loro particolare ruolo che consiste nell'assumere su di sé il dolore proprio, così come quello dei loro figli, dei mariti e di altri membri della famiglia, e nell'agire in vista di una soluzione ottenuta attraverso la grazia divina. In tal modo la manifestazione della sofferenza nel corso del pellegrinaggio diviene ancora una volta un modo per riaffermare il ruolo delle donne come artefici del "lavoro del dolore". Inoltre, "l'identificazione con la Panayia [Maria] come madre sofferente dà alle donne una particolare forza morale per affrontare la loro stessa esperienza del dolore, così come viene messa in scena nella sede del pellegrinaggio" (Dubisch 1995: 217). E' opportuno anche considerare che, oltre ad usare materiali offerti dal tradizionale comportamento religioso allo scopo di rappresentare pubblicamente la loro sofferenza, le donne creano al tempo stesso anche immagini che sono centrali nella religione: "Il loro rito e la loro preghiera sono incentrati non su Cristo, ma sulla Panayia. Anziché l'immagine del figlio martire, esse producono e riproducono immagini della madre sofferente" (Dubisch 1995: 219). Il pellegrinaggio è spesso accompagnato dal canto, eseguito o durante il viaggio verso il meta o presso il santuario. Il canto è un'altra parte importante del comportamento devozionale dei fedeli e illustra il loro rapporto con la Madonna. I canti celebrano il potere della Madonna - come madre di tutto il popolo e come signora del mondo intero - lodano la sua bellezza, la ritraggono nell'atto di aiutare i fedeli nei diversi momenti del loro viaggio verso il santuario e terminano generalmente con una richiesta di grazia (Magrini 1986: 394-409).
Questi canti presentano la Madonna come una figura sacra e onnipotente in grado di soddisfare qualsiasi bisogno dei suoi fedeli. Allo stesso tempo, il fatto di essere la "Madre di tutto il popolo" le conferisce una dimensione umana che le consente di comprendere e condividere il dolore dei suoi devoti, oltre che di proteggerli e di soddisfare i loro bisogni. In questo modo, la stessa comprensione privilegiata della sofferenza che crea un legame tra le donne sulla terra stabilisce anche un legame tra queste donne e la Madonna in paradiso: il concetto di dolore condiviso offre come ricompensa il legame tra le donne. Allo stesso tempo, così come le donne agiscono come mediatrici tra le loro famiglie e il mondo del sacro, la Madonna viene spesso concepita come mediatrice tra gli esseri umani e Dio o Cristo. |