Inaccessibili
Oran, Sidi Bel-Abbes, Mascara, Ghelizane, Ain Temouchent, e Saida sono per le chikhat luoghi di nascita, città adottive, o siti patronimici. La chikha non porta il nome della sua famiglia: lo perde entrando nella sfera pubblica ed attraversando i confini dell' horma. Le viene dato un appellativo, un soprannome, o il nome del posto dove lavora: Rahma el Abassya (Rahma di Belabas), Hab Lahmeur (bottoni rossi), Keltoum el Balini, (Keltoum del Balini [quartiere]), Habiba el Kebira (Habiba l'anziana), Habiba Sghira (Habiba la giovane), Rimitti el Ghelizanya (Rimitti di Ghelizane), ecc. Per maggiore chiarezza, si aggiungono delle 'particelle' così da non confondere Chikha Djinya el Kebira el Haqqanya bent Saida (Djinya l'anziana, la vera figlia di Saida) con Chikha Djinya el Mascarya (Djinya di Mascar).
Tutti questi episodi compaiono come tracce fuggevoli nelle canzoni. Ciascuno vi trova qualcosa in cui identificare le proprie sofferenze e l'esasperazione delle tendenze della vita quotidiana. L'universo delle meddahat [donne che cantano le lodi al Profeta e ai santi] è meno turbolento. Il fatto che cantino in ambienti femminili le risparmia da certe accuse. Ma questo mestiere di donne, molto spesso donne senza uomini, non permette loro un riconoscimento sociale che le possa proteggere dagli attacchi della marginalità. I loro guadagni, concentrati nella stagione dei matrimoni e nelle sere del Ramadan, sono precari. Inoltre c'è un'intensa concorrenza tra gruppi e al loro interno. Le esigenze finanziarie e le pressioni psicologiche della meallma, la leader del gruppo, sono spesso troppo forti.
Ad un matrimonio le meddahat eseguono un successo degli anni
Ottanta che festeggia l'emancipazione delle donne: Un duo esegue lo stesso brano: |