Forse era inevitabile che, quando gruppi come Canta
migliorarono le loro capacità musicali, si avesse un
cambiamento di rotta dall'interesse nel conservare e
propagare l'eredità musicale ad un interesse nel
generare nuovi materiali, con un'enfasi particolare sul
contesto contemporaneo, su questioni socio-politiche, e
sullo sviluppo individuale dell'artista. Canta
aveva esordito definendo se stesso come "l'apostolo
della tradizione pura" (Turchini, 1993:204), ma, con
la maturazione del gruppo, si ebbe una polarizzazione fra
i "tradizionalisti" dichiarati e gli
"evoluzionisti", rappresentati ad esempio da
Christophe Mac Daniel, il quale sentiva che "lo
stile era limitato, ristretto. Era necessario operare un
rottura" (citato da Turchini, 1993:208). Il successo
che questi gruppi riscossero in seguito sul mercato
musicale internazionale portò ad una loro ulteriore
professionalizzazione e al distacco successivo dalle
strutture insulari, sia dal punto di vista estetico che
per quanto riguarda la funzione delle musiche. Questo
non significa, tuttavia, che gli evoluzionisti abbiano
semplicemente sciolto i legami con, o perso l'interesse
per, gli stili tradizionali. Al contrario, giustificare e
salvaguardare la propria posizione di degni eredi della
tradizione ancestrale e di ambasciatori d'oltremare della
cultura corsa per molti rimane una priorità. Usando le
parole di Benedettu Sarrocchi dei Voce di Corsica,
la sfida è quella di "produrre qualcosa di
originale mentre, allo stesso tempo, si rimane nella
tradizione" (intervista, 1995).
L'importanza nel mantenere un'identità tradizionale,
o almeno specificamente corsa, si nota nella regolarità
con la quale, nelle note di copertina e negli interventi
pubblici, i gruppi si autodefiniscano come radicati nella
tradizione. Il modo in cui questa relazione funziona a
livello pratico può comunque manifestarsi su diversi
punti di un continuo e, in alcuni casi, questa
affermazione sembra funzionare principalmente come una
dichiarazione filosofica, morale o politica rispetto al
dibattito su quello che Salini (1996:197) descrive come
"l'ambiguità della relazione (fra) la tradizione e
la creazione". Al centro di questo dibattito
troviamo dei quesiti quali: cosa è la tradizione? come
la si può servire al meglio? qual è l'espressione di
questo tempo che più si confà alla tradizione? qual è
il ruolo dell'artista contemporaneo?
I vari punti di vista sostenuti dai diversi
protagonisti del dibattito
"tradizione-creazione" sono strettamente
collegati alla comprensione e alla razionalizzazione
dello stesso concetto di tradizione. Si possono
riassumere le posizioni più condivise nei seguenti punti
(sempre tenendo presente che ci sono molti punti di
contatto fra le varie posizioni e che non ci si aspetta
da nessun artista che si adegui ad una sola categoria):
- Dall'estremità più conservativa, la
"tradizione" è vista come qualcosa che
rimane relativamente costante e che è dotata di
un'autorità superiore ed eterna: in quanto tale,
essa occupa una posizione sacrosanta condivisa
con gli avi o "antichi". Sia le origini
del repertorio che i segreti della tecnica vocale
appartengono alla proverbiale notte dei tempi: si
situano nel regno impersonale e inscrutabile
della cosmologia. Questo modo di percepire può
svilupparsi nella nozione che la tradizione deve
rimanere intatta se se ne vuole preservare
l'integrità e che ogni divergenza dalla
tradizione è o inautentica o un
"tradimento" - atteggiamento assunto
per la maggior parte da coloro che non lavorano a
livello dei gruppi e che li criticano per aver
"cambiato la tradizione". Molti membri
dei gruppi condividono comunque questo sentimento
generale anche se, contemporaneamente, hanno
intrapreso per la loro professione un percorso
più progressista.
- Fra quelli che hanno scelto un approccio più
progressista, la tradizione è vista come
qualcosa che si deve relazionare più al presente
che al passato, un processo organico che include
cambiamenti ed evoluzioni come parte integrante
della sua natura e non come un'entità fissa che,
dal loro punto di vista, non può che
ossificarsi. Questa prospettiva favorisce un'idea
di tradizione generata da individui e dalle loro
risposte a un clima socio-culturale in
cambiamento, piuttosto che coincidente con
qualcosa di pre-esistente, inteso come prodotto
di un "popolo" mitico e collettivo.
Qui, il concetto di autenticità comprende la
nozione di fedeltà verso il proprio tempo e la
propria esperienza.
- Un compromesso fra queste prime due posizioni
suggerisce che la tradizione tramandata dagli
anziani debba essere valorizzata e l'integrità
dell'eredità culturale rispettata, ma che, allo
stesso tempo la tradizione, se vuole rimanere
viva, debba trovare un suo modo di evolversi e di
sviluppare forme espressive contemporanee. Questo
è il punto di vista adottato dai gruppi di oggi
ed espresso, sotto aspetti diversi, dai resoconti
che i media fanno sulle attività dei gruppi. (Un
reportage che un giornale ha fatto su un concerto
del gruppo I Chjami Aghjalesi nel 1995, ad
esempio, diceva: "Il gruppo vocale Chjami
Aghjalesi ... rappresenta sia un modo di
rapportarsi alla tradizione ancestrale che
un'evoluzione indispensabile, poiché il
movimento è vita e l'arte non può essere
immobilizzata". Corse-Matin, 27.6.95)
- Una posizione leggermente diversa è quella
occupata da coloro i quali "fanno quel che
vogliono fare", respingendo l'idea di un
obbligo morale verso il servizio della causa
"tradizionale". Altri hanno accettato
che, accanto a sforzi più coscientemente
tradizionalisti, ci sia lo spazio per lavori
nuovi, nati dall'ispirazione artistica
individuale. Jean-Claude Acquaviva del gruppo A
Filetta, ad esempio, intervistato
nell'edizione del 21.8.01 di Corse-Matin, disse:
"Mentre componevo le canzoni per 'Médée',
sono stato bloccato per tanto tempo dalla paura
di deformare, di tradire l'eredità che abbiamo
ricevuto, e alla fine la musica è venuta
accettando questa trasgressione".
La seconda, terza, e quarta posizione
espresse sopra, che possiamo tutte classificare come più
o meno progressiste, possono presentarsi sotto apparenze
diverse. Affermazioni fatte da vari gruppi o individui al
fine di giustificare quelli che possono essere visti come
i cambiamenti o le innovazioni dei quali essi sono
responsabili - sia nelle loro composizioni originali che
nelle interpretazioni di materiale tradizionale - tendono
ad essere articolati attorno ad un numero di concetti
chiave, come può essere esemplificato dalle seguenti
citazioni.
- Evoluzione e identità; evoluzione come
processo naturale. Patrizia Gattaceca de Les
Nouvelles Polyphonies Corses evoca la nozione
di evoluzione nel tracciare un'analogia con il
modo in cui si evolve il linguaggio: 'È come un
linguaggio. Una lingua si evolve, ma rimane pur
sempre una lingua. Una canzone si evolve, ma
rimane sempre la canzone di un paese'
(intervista, 1994). In modo un po' più
scherzoso, notando che alcune persone rifiutano
un tipo di cambiamento in musica che invece
tranquillamente accettano in altre aree del
vissuto, Jean-François Bernardini del gruppo I
Muvrini, commenta che le ragazze che
indossano i jeans sono comunque corse: esse si
sono semplicemente adattate al cambiamento dei
tempi e delle mode (intervista, 1995).
- La tradizione come un'entità vivente..
Patrizia Poli (Les Nouvelles Polyphonies)
afferma inequivocabilmente che 'la tradizione è
una cosa che vive' e che, in quanto tale, 'si
rinnova' (intervista, 1995). La polifonia, in
particolare, è stata usata da gruppi come gli
A Filetta'... per poter dare voce ad una
cultura in movimento, ai modi di un popolo che
vive' (materiale promozionale, 1994).
- Il bisogno di riflettere, con la musica,
l'esperienza contemporanea; il bisogno di
attualità. Patrizia Poli dice, 'cantiamo la
polifonia come la sentiamo oggi' (intervista,
1995), mentre Jean-François Bernardini ritiene
che la gente voglia "una musica che
appartenga al nostro tempo, di ora"
(intervista, 1995). Parlando dal punto di vista
dell'esecutore, Bernardini introduce le nozioni
di diritto e dovere: "Personalmente, nutro
sia rispetto che mancanza di rispetto per la
tradizione, perché abbiamo il diritto ed il
dovere di testimoniare la nostra
esperienza". Continua dicendo:
"Dobbiamo inventare il nostro linguaggio, un
linguaggio nuovo, dentro al linguaggio che già
esiste, questa è la nostra missione". In
una vena simile, le note di copertina dell'album
'A Capella' del gruppo Tavagna, dopo aver
presentato il gruppo come "la memoria di
coloro che non hanno più una voce",
includono il commento: "Ma poiché questo
gruppo vuole definirsi come la voce della vita, i
suoi membri compongono e interpretano nello
stesso disco pezzi nuovi molto belli." I
membri di E Voce di u Cumune, intanto,
cercano di tramandare alle generazioni future
"una musica corsa della fine del XX
secolo" (citato da de Zerbi & Diani,
1992: 96).
- Il diritto ad una creatività individuale e
l'inevitabilità di nuove creazioni. Ancora
una volta, Jean-François Bernardini parla dal
suo punto di vista d'artista quando dice:
"La mia missione non è solo quella di
cercare nella mia soffitta per vedere cosa c'è.
La mia missione è anche quella di cercare qui
dentro [toccandosi la testa], nella mia
immaginazione, nella mia creatività, per vedere
cosa c'è nella mia individualità, e per
condividerlo con gli altri." (intervista,
1995). In quanto artista, egli ha sia il suo
destino da compiere che un ruolo ben preciso
nella società. La creatività artistica non è
una questione di scelte: "È una sorgente.
... Emerge naturalmente." Per Ghiuvaní
Petru Godinat del gruppo Cinqui Sú, è
importante "... fare quello che uno vuol
fare ... la gente deve essere lasciata libera di
esaudire i propri desideri e di esprimersi"
(intervista, 1995). Questo è convalidato
dall'affermazione: "Non c'è calcolo. È
cosí che accade. Non è il risultato di
un'intenzione specifica". Iviu Pasquali
racconta di come un gruppo di cantanti a volte
sperimenti effetti nuovi "per il gusto di
farlo, per piacere" (intervista, 1994). È
possibile, spiega, diventare "saturi"
se ci si limita allo stesso repertorio limitato e
alla stessa maniera interpretativa. Secondo lui,
questa sperimentazione è naturale e costituisce
"una forma d'evoluzione".
- La tradizione è un processo.
Jean-François Bernardini si oppone ad ogni
insinuazione di tradimento verso la tradizione,
sostenendo che ha sempre assorbito elementi
estranei e innovatori: "La gente
ha
integrato, si è appropriata delle cose e, col
tempo, con il talento, e con la forza, queste
possono divenire tradizionali nel senso che
possono essere condivise da un numero più grande
di persone, ed integrate. E io credo che oggi,
con strumenti differenti, noi stiamo facendo
esattamente la stessa cosa.
Le musiche non
sono nate tradizionali, ma lo sono diventate, col
tempo.
Oggi, non ci troviamo forse nel
processo di creare la musica tradizionale corsa
del domani, di trecento anni da ora? Questa è la
dialettica che stiamo cercando di far nascere
molto naturalmente" (intervista, 1995).
Se molte delle formulazioni sono valide sia rispetto
alla natura della tradizione che come discussioni a
favore dell'artista che crea, esse rimangono anche più
filosofiche che pratiche nella loro essenza e le
allusioni alla tradizione rimangono piuttosto imprecise e
generiche. Fondamentalmente, esse eludono la domanda su
come esattamente ogni nuovo sviluppo possa essere visto
come un'evoluzione naturale e logica di quello che c'era
prima. Analogie come quelle citate sul tema
"evoluzione e identità" possono essere
formulate in modo molto libero e non riuscire ad
enfatizzare che il presente debba comunque essere visto
nel suo legame con il passato, se vuole reclamare una
tale ascendenza: sotto alla superficie si deve vedere il
nocciolo o la struttura profonda. Il punto di vista
espresso una volta che "le radici non sono buone se
non ci sono fiori" può forse essere messo in
prospettiva ricordandosi che non ha molto senso innestare
un fiore che non abbia nessuna relazione con l'albero
stesso: tanto vale piantare un altro albero da un'altra
parte. Di conseguenza, ecco il monito di Salini:
"... mentre non si fa questione di ostacolare il
progresso, non se ne deve sottovalutare la ricaduta. ...
[Una cultura] può certo far parte del mondo di oggi,
adottare un nuovo linguaggio, una nuova strumentazione,
diverse forme di scrittura, ma è indispensabile che i
suoi archetipi rimangano" (Salini, 1996: 207).
I cantanti che operano all'estremità più cauta del
dibattito tradizione-creazione mettono in evidenza
l'importanza di assorbire il linguaggio musicale indigeno
della tradizione e poi di usarlo come base sulla quale
costruire composizioni nuove. Come dice Iviu Pasquali,
"per creare una polifonia, è prima di tutto
necessario essere ancorati, radicati nella vecchia,
vecchia polifonia" (intervista, 1994). In seguito,
si deve tornare periodicamente all'origine della
tradizione così che ogni nuovo sviluppo ne sia "una
continuazione logica". Per Michele Poli, (uno dei
membri più reputati di Canta u Populu Corsu),
qualsiasi forma assuma la nuova musica, è importante che
essa sia in qualche modo rappresentativa: "è
importante che la gente si possa identificare con questa
musica: altrimenti, ... non ne vale la pena, è un
fallimento" (intervista, 1995).
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