Per mostrare il modo in cui i vari
"significatori" delineati fino ad ora possano
essere uniti nella pratica, passo adesso ad esaminare tre
composizioni prese dall'opera di alcuni dei gruppi già
menzionati. Anche se in ognuno dei casi l'esecuzione
globale dà vita ad uno stile che può essere visto come
caratterstico di una "fase" particolare del
gruppo in questione, gli esempi sono comunque tipici di
processi e tendenze più vasti. (9).
(i) Les Nouvelles Polyphonies Corses:
Giramondu
- Il pezzo di apertura del primo disco eponimo de Les
Nouvelles Polyphonies Corses (Philips, 1991),
è la canzone che fu scelta per aprire le
Olimpiadi invernali ad Albertville nel 1992,
usata poi, su distribuzione mondiale, nella
pubblicità della Philips. La canzone (di
Patrizia Poli e Patrizia Gattaceca) è
interpretata dalle voci delle stesse Poli e
Gattaceca, con Jean-Paul Poletti e altri cantanti
della Scola di Cantu di Sartène, diretta
dallo stesso Poletti (10).
La componente strumentale è data da suoni
elettronici realizzati da Hector Zazou.
La canzone presenta
l'arrangiamento di base delle tre voci trovate
nella paghjella indigena che funzionano
nei limiti di parametri strutturali prestabiliti:
il motivo di apertura è dato da un "a
solo" della terza e bassu
rafforzato qui da molte voci maschili; queste due
ultime parti entrano rispettivamente sul quinto
grado e sulla tonica rispettivamente, unendosi al
terzo grado cantato dalla secunda voce; la
secunda voce rimane nell'ambito di una
quinta, mentre la terza usa il terzo, il quarto e
il quinto grado della scala - con una risoluzione
sulla caratteristica terza piccarda, una terza
maggiore leggermente calante - e il bassu
usa le note fondamentali degli accordi di I, IV,
e V grado. I timbri delle voci e l'uso
melismatico nei versi della secunda e terza
sono riconosciuti come "tradizionali".
Nel breve ritornello, le tre voci entrano con un
movimento parallelo, una procedura familiare
grazie al suo uso in parti del repertorio sacro
tradizionale. Nella seconda strofa, viene
aggiunta una voce più acuta, la contra-terza,
che usa la tonica all'ottava superiore come punto
di riferimento e che introduce la nota sensibile,
portando il pezzo in un sistema di riferimento
tonale più "occidentale".
(L'introduzione della contra-terza è
diventata ora una pratica molto diffusa e anche
molto contestata).
Les
Nouvelles Polyphonies
Corses: Giramondu (mp3 file, 315 kb, 0.13 min)
- Come in altri pezzi dello stesso disco, la natura
ariosa ed espansiva dello sfondo
"improvvisato" elettroacustico ricorda
il senso di apertura e vastità degli orizzonti
ai quali la canzone fa riferimento sia
letteralmente che simbolicamente, e riflette la
retorica di una promessa di umanità condivisa -
retorica che fa parte del sistema di riferimento
di un mondo globale. Questo contrasta nettamente
con le qualità solide e terrene delle voci che
portano un'eco specifica di tempi antichi. Le
componenti vocali e strumentali, rispettivamente,
possono essere viste come icone del locale e del
globale, passato e presente, dando quindi
un'immagine acustica di un luogo dalle antiche
radici in un ambiente contemporaneo, dello spazio
della Corsica in un mondo più grande. Il testo
stesso parla della perdita di se stessi nel mondo
della natura - in questo caso un paesaggio
tipicamente corso definito da immagini di felci,
un castagno e il suonare a rintocchi di una
campana - e degli spiriti che animano il mondo
naturale e fanno girare il mondo.
(ii) I Muvrini: A
Sculuccia
- Questa canzone appare nel disco 'Noi' (Columbia,
1993) e, come la maggior parte delle canzoni di
questo album, presenta una voce sola con un
accompagnamento strumentale. Come nell'esempio
delle Nouvelles Polyphonie discusso sopra,
i significatori della tradizione sono ancora una
volta contenuti nelle voci mentre i significatori
di modernità e contemporaneità sono contenuti
nella strumentazione. In generale, le canzoni del
disco possono essere divise in due grandi
categorie: la prima di carattere ritmico e dal
tipico andamento in levare, correlata con lo
stile locale delle chanson degli anni
'70 e anche in sintonia con l'estetica pop
anglo-americana grazie all'uso della batteria; e
l'altra caratterizzata da una più ampia libertà
metrica, uno stile più declamatorio e
melismatico, e una strumentazione meno
convenzionale. 'A Sculuccia' appartiene a
quest'ultima categoria.
Come nel resto delle produzioni
del gruppo, l'idioma vocale si avvicina molto a
quello dei cantori tradizionali, mantenendo un
numero di elementi caratteristici nell'ambito
della struttura melodica, del colore vocale, e
dell'ornamentazione. La stanza è cantata su una
sola strofa melodica - che utilizza un pentacordo
- il cui profilo discendente, dalla struttura a
terrazza, così come il melisma molto denso o la
"modulazione" della voce, ricordano le
canzoni monodiche tradizionali, . Allo stesso
tempo, la partitura strumentale relativamente
sofisticata, che si basa fondamentalmente su
suoni sintetizzati e su una combinazione inusuale
di cetra e ghironda, appartiene allo stile dei
primi anni '90. A differenza dell'esecuzione
delle Nouvelles Polyphonies però, nella
quale la componente strumentale è improvvisata e
solo più tardi sovraincisa alle voci, le linee
strumentali hanno qui una natura più composta e,
dando supporto e interagendo con la voce, formano
una parte intima del pezzo. L'accompagnamento
strumentale racchiude armonie più moderne e la
forte presenza elettronica denota sofisticazione
tecnologica e padronanza del mezzo.
I
Muvrini: A Sculuccia (mp3 file, 315 kb, 0.13 min)
- Il testo stesso ha forti radici nell'isola ed
appartiene ad un filone che attraversa tutta
l'opera de I Muvrini, che tratta il
processo di abbandono del quale l'isola ha
sofferto durante i tempi moderni e, in
particolare, il problema molto discusso della
desertificazione dell'entroterra. Questo testo si
rifà ad un'affermata tradizione di lamenti per i
luoghi dimenticati e per manufatti caduti in
disuso appartenenti ad un stile di vita superato,
e si riferisce qui al destino di una scuola di
paese le cui classi sono ora vuote e
costituiscono la sola memoria dei bambini che una
volta le abitavano e che giocavano nel prato
ormai ricoperto di erbacce sono i graffiti incisi
nelle vecchie panchine di legno.
(iii) Cinqui Sú: Ma Da Chi
Saraghju Natu?
- Apparso nel disco 'Comí Acqua Linda' (Ricordu,
1994), questo è un esempio del tipo di canzone
che fa riferimento sia alla chanson che
all'idioma polifonico tradizionale e alla quale,
in Corsica, si può fare riferimento come alla
"chanson in polifonia". A
livello di tematiche, appartiene alla tradizione
dei nuovi inni corsi post-nazionalisti. Nelle
parole, il popolo corso parla delle notti insonni
di un passato tormentato, dell'orgoglio del suo
diritto di nascita, del desiderio di vivere
libero nella sua terra natia e di augurare la
pace a tutta l'umanità.
Questo pezzo inizia con una
sezione strumentale complessa che dura un po'
più di un minuto e mezzo e che serve come sfondo
ad una parte di testo parlato. La prima strofa
della stessa canzone è cantata dalle tre voci a
cappella. Nella seconda strofa viene introdotta
una chitarra pizzicata. Per le altre strofe
l'accompagnamento si complica, diventa più
ritmico e assume maggiore rilievo grazie
all'aggiunta di darabuka e campanelle, e
al passaggio all'accompagnamento ad accordi
strappati della chitarra. Il verso di apertura di
ogni strofa è cantato dalla sola secunda,
alla quale si aggiungono il basso e la terza
per il resto della strofa.
Cinqui
Sò: Ma Dà Chi Saraghju Natu? (mp3 file, 267 kb, 0.11 min)
- Secondo il canone tradizionale, il verso di secunda
si basa su un materiale melodico ristretto:
la stessa linea melodica (che occupa l'estensione
di un pentacordo) viene ripetuta per ognuno dei
quattro versi che compongono la strofa e anche
per il primo e terzo verso del ritornello. Un
elemento di varietà e tensione è dato dalla
modulazione diatonica all'inizio del ritornello
il cui verso finale ritorna poi alla tonalità
iniziale. L'uso del testo è essenzialmente
sillabico, come nella canzone monodica e nella chanson
tradizionali, con una correlazione logica simile
fra le linee testuali e melodiche (a differenza
dello stile della paghjella che è più
melismatico ed "estatico", e che dà
luogo ad un considerevole offuscamento del
testo). La voce di basso non ha qui il ruolo di
funzione armonica che ha il bassu della paghjella,
ma è collegata al ruolo di bordone sulla tonica.
(La secunda, in modo del tutto
eccezionale, non scende sulla tonica, ma tratta
il terzo grado della scala come fosse esso stesso
una tonica.) Un maggior senso di
"polifonia" è dato dal modo in cui il
basso e la secunda a volte cantano, uno
contro l'altra, due versi di testo differenti (il
basso ripete il secondo verso della strofa mentre
la secunda canta la terza).
L'interdipendenza fra la secunda e il basso
rimane, tuttavia, essenzialmente omofona. Il
concetto della terza voce - che entra come un
incantesimo su un bordone, in questo caso sulla
tonica superiore, prima di passare ad una figura
discendente per poi risolvere sul quinto grado
della scala in terze rispetto alla secunda
- è più evocativo dello stile della paghjella
soprattutto nel suo stile di eloquio melismatico
e nel modo in cui la figura melismatica alla fine
del secondo verso viene estesa fino a sovrapporsi
con il nuovo verso della secunda. È
questa linea della terza che,
nell'insieme, dà un maggior senso di polifonia
alla struttura. Mentre la chitarra e la darabuka
danno l'impressione di dare una base alla
componente vocale sia in termini di regolarità
ritmica che di tonalità, ogni tentativo di
conformare le voci ad un'estetica più
"occidentale" o "moderna"
viene alla fine sovvertito dalla libertà
esercitata dalla terza che, con il suo
andamento melismatico, trascina il pezzo al di
fuori dei parametri della scala temperata da una
parte, e della simmetria metrica dall'altra. In
questo caso, allora, la tensione fra il
tradizionale ed il moderno si trova sia
all'interno dell'arrangiamento vocale che nella
giustapposizione fra le voci e gli strumenti.
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