1. Il
Mediterraneo e Napoli
È difficile immaginare un repertorio più "mediterraneo" della canzone napoletana. Non solo per gli italiani, credo. Molti dei cliché antropologici sull'Italia e sugli italiani, che includono abbondanti riferimenti al sole, al mare, a cibi inequivocabilmente "mediterranei" come gli spaghetti o la pizza, sono legati alla canzone napoletana. Nelle ultime settimane si è visto su France 2 uno spot che utilizza a beneficio del prodotto reclamizzato delle magnifiche immagini solari di Venezia, commentate da O sole mio (o forse è Torna a Surriento? l'importante è che ci siano dei mandolini). L'ignoranza da parte dei pubblicitari francesi delle specificità regionali della canzone in Italia non ci scandalizza: prima di tutto, il pubblico di France 2 non saprebbe come interpretare una colonna sonora geograficamente più corretta, come La biondina in gondoleta, e poi gli stessi cantanti da gondola veneziani si sono adeguati da decenni a intonare O sole mio per sposini americani o comitive di giapponesi, vestendo almeno musicalmente panni meridionali altrimenti non sempre apprezzati da queste parti. La canzone napoletana è identificata con l'Italia: anzi, viene da pensare che all'estero sia tuttora considerata non uno dei repertori regionali, dialettali, ma parte integrante del mainstream della popular music italiana. Tanto è vero che i testi divulgativi sulla "World Music" non vi fanno riferimento, come non si occuperebbero di Frank Sinatra o di Elvis Presley parlando degli Stati Uniti, o dei Beatles parlando dell'Inghilterra. In effetti, nella prima edizione di World Music. The Rough Guide (Broughton et al. 1994) la voce "Italia" non esisteva nemmeno. E nella nuova edizione in due volumi del 1999-2000 a Napoli è dedicata poco più di una pagina, meno di quanto non si parli delle pur interessantissime tradizioni sarde (e alla canzone napoletana storica sono dedicate una ventina di righe in tutto). Evidentemente alla canzone napoletana non vengono riconosciuti quei requisiti di alterità rispetto al mainstream che nell'ideologia della "World Music" sono considerati essenziali, e se questo è un sintomo abbastanza significativo della fragilità di quell'ideologia, nondimeno è rivelatore di un senso comune che sicuramente precede quella formazione ideologica. Il fado (anche Lisboa antigua) è "roots", il tango (anche La cumparsita) ) è "roots", ma la canzone napoletana è mainstream. La cantavano Caruso e Beniamino Gigli. Ma non è colpa degli stranieri: anche noi italiani - che ci stupiamo se la nostra immagine all'estero è quella di piccoli meridionali con baffetti neri che gesticolano e mangiano aglio dalla mattina alla sera - pensiamo della canzone napoletana la stessa cosa. Sarebbe difficile capire la storia della popular music italiana negli ultimi quarant'anni o poco più senza tener conto di questo dato del senso comune, di questa identificazione della canzone napoletana con la tradizione italiana tout-court, e del conseguente bisogno di ricollocare le componenti "mediterranee" della popular music italiana - quali che siano - al di fuori del mainstream, per sottrarle ad un marchio di conservativismo. |
2. Urlatori
e melodici. E cantautori.
Quando verso la fine degli anni Cinquanta si
manifestarono con forza i segni del cambiamento, con
l'emergere degli "urlatori" (nome che i critici
dell'epoca davano ai rockers nostrani) e dei cantautori
(che erano influenzati sia dagli chansonniers francesi
sia dal rock'n'roll: il nome fu suggerito da un
produttore discografico, Vincenzo Micocci), la stampa
diede grande rilievo alla contrapposizione fra questi
esponenti di un esplicito rinnovamento della "musica
leggera" italiana, e i loro avversari conservatori,
i "melodici" (1).
Il fatto che nel repertorio di Modugno esistessero canzoni in dialetto, sia pure di sua composizione, e che Claudio Villa facesse riferimento più che altro alle sue origini romane, trasteverine, non riesce a mettere in ombra l'implicazione ideologica di questo confronto che rapidamente divenne senso comune:
la canzone dialettale meridionale intonata a voce spiegata, con atteggiamento tenorile, era la conservazione, la canzone in lingua italiana interpretata con la voce quotidiana del crooner o dello chanssonnier, e prima ancora con il curioso birignao cabarettistico di Modugno, era il rinnovamento. Consapevolmente, i rappresentanti della canzone napoletana (autori, cantanti, editori, discografici) si arroccarono in questa posizione ostile alle novità, fecero sempre più del festival della canzone napoletana (minacciato dalla concorrenza di quello di Sanremo, dove le canzoni in dialetto erano escluse dal regolamento) il santuario della tradizione, e contribuirono forse in modo determinante a far identificare nella canzone napoletana il passato conservatore. Naturalmente ci furono, come sempre avviene, quelli che Adorno felicemente (ma a proposito di altre musiche) aveva chiamato "scarti della dialettica": musiche e musicisti che sfuggivano alla categorizzazione, e che con la loro stessa esistenza mettevano in dubbio le polarità di quello che era già diventato senso comune. Ma il genio parodistico (e napoletano) di Renato Carosone ebbe tutto sommato anche un ruolo di conferma di quella stessa dialettica, proprio per il fatto di riscattare la napoletanità attraverso la parodia. E, d'altra parte, il trattamento riservato a E la barca tornò sola (una canzone in lingua, ma modellata sugli esempi retorici della tradizione partenopea) non poteva lasciare spazio a dubbi sulla collocazione di Carosone fra gli innovatori.
E la barca tornò sola (file mp3, 335 kb, 1.52 min) |