3.b Li tri re di l'orienti
Il secondo brano qui incluso -- anch’esso tratto dalla produzione discografica a 78 giri -- fu stampato negli Stati Uniti nel 1924 e rientra in quella fascia di produzione che fu chiamata “ethnic”, quella riservata, per l’appunto, alle diverse etnìe di immigrati. Si tratta di Li tri re di l’orienti (autore: Gaspare Marrone; esecutori: G. Marrone & Co).
Il testo, conosciuto in centinaia di varianti in Sicilia e altrove, racconta l’arrivo dei Magi a Betlemme e l’offerta dei doni al Bambino. Esso si ispira al racconto della nascita di Gesù che ne fanno l’evangelista Matteo (Mt 2, 1-12) e più ancora gli apocrifi vangeli dell’infanzia (Vangelo dell’infanzia armeno, 14-22; Vangelo arabo-siriaco VII; Protovangelo di Giacomo XXI, 3; Pseudo-Matteo XVI, 1-2). Proprio da questi ultimi apprendiamo i nomi e il numero dei Magi, la loro condizione di re e veniamo a conoscenza di fatti “miracolosi” che accaddero in coincidenza della nascita. Ed è soprattutto nelle redazioni arabe ed armene di questi vangeli che troviamo una grande ricchezza di elementi fiabeschi, come si riscontrano nei canti popolari, per tutta la narrazione della nascita e della fanciullezza di Gesù. Dal punto di vista metrico ci troviamo di fronte, come per il brano precedente, a quartine di endecasillabi, anche se spesso si riscontra una certa irregolarità dovuta verosimilmente alle modifiche che il testo ha subito nel tempo. Questo documento ci sembra particolarmente interessante dal punto di vista esecutivo: si tratta di un genere di recitazione sottoposta a precise regole ritmiche e di intonazione, tipica dei cuntastorie siciliani. Così come i cantastorie orbi, anche i cuntastorie furono forti della protezione della Chiesa già dal ‘500-600, e come gli orbi furono spesso ad essa assoggettati. Essi venivano dal popolo e portarono tra il popolo nuvene, trionfi e cunti, operando in nome di una verità religiosa che, solo in origine, fu fornita dall’autorità canonica (cfr. Anelli-La Mantia 1977). Raccontatori di storie, vere e fantastiche, edificanti o sconvolgenti per i contenuti o le morali che veicolavano, i cuntastorie giravano le città in lungo e in largo, spostandosi da una parte all’altra della Sicilia, frequentando case di privati, piazze, feste, mercati, qualunque situazione che permettesse la presenza di un uditorio potenzialmente remunerante (cfr. Buttitta 1960, Burgaretta 1989, Pasqualino 1992) [2]. La capacità di teatralizzare e rendere “visiva” la parola raccontata fa sì che la figura del cuntastorie si sviluppi vertiginosamente in Sicilia, e raggiunga il suo massimo livello di popolarità alla fine del XIX sec. Tradizione ancora vitale fino almeno alla prima metà del Novecento, oggi il cuntu è solo storia, praticamente scomparso pochi anni fa insieme a uno degli ultimi grandi cuntastorie, il palermitano Fortunato Giordano (cfr.Giordano 1991). |